Note Bandite è una rubrica che avrete modo di rivedere tra le pagine di Umanità Nova nei prossimi numeri con una certa periodicità: l’intento è quello di dare una “colonna sonora” al settimanale. Ogni volta si prenderà in esame un argomento e si stileranno alcune canzoni che lo hanno raccontato al meglio. Partire dalla musica per approcciare tematiche complesse e sviluppare argomenti cruciali per scoprire il passato e leggere il presente.
Continua anche in questo numero l’avvicinamento al 25 aprile, ripercorrendo le tappe della storia dell’antifascismo italiano, seguendo la cronologia degli eventi che lo caratterizzarono, dall’opposizione allo squadrismo fino alla Liberazione, passando per il regime.
In questo numero vedremo tre brani che ci proiettano nell’Italia del ventennio e nelle varie guerre che il regime volle. Canzoni di denuncia contro chi aveva smania di potere e per ottenerlo era pronto a sacrificare anche le proprie truppe.
La scaletta di questa settimana propone:
1 Alessio Lega – Ambaradan
2 Murubutu – Le stesse pietre
3 Le Primule Rosse – La Badoglieide
1 Alessio Lega – Ambaradan
Nel 1935 l’Italia cominciò l’invasione dell’Etiopia. La campagna militare d’Africa da parte del del Regime è nota ancora oggi per le efferatezze e i crimini di guerra compiuti dai colonialisti che regalarono a Vittorio Emanuele III il titolo di Imperatore.
Non esistono molte canzoni che raccontano di questa spedizione militare, ma una in particolare ha per titolo una parola che tutti noi utilizziamo inconsapevolmente, la cui etimologia proviene proprio da un altopiano etiope tristemente noto per una battaglia che lì venne combattuta. La canzone in questione è “Ambaradan” di Alessio Lega. Con ‘ambaradan’ si intende una situazione caotica e il termine deriva dal nome dell’altopiano dell’Amba Aradam nel nord dell’Etiopia. Per conquistarlo gli italiani intrapresero un’offensiva nel ’36, alleandosi con delle tribù locali che a loro volta però avevano stretto legami con degli etiopi. Questo intrico di alleanze creò uno scompiglio tale nello scontro che dai racconti dei reduci fu coniata la nuova parola “Che cosa mai vorrà dire “ambaradan” / una parola così sbarazzina / ma che casino, cos’è ‘sto ambaradan? / Una reminiscenza abissina.”
Il cantautore milanese, da anni punto di riferimento per gli appassionati di musica libertaria e anarchica, ha pubblicato nel 2017 l’album “Mare Nero” in cui la canzone è contenuta, anche se era già comparsa nell’“Album Concerto” assieme a “I Malfattori”. Con questa canzone Lega compie anche un’importante riscoperta storiografica, andando a demolire il mito di “italiani brava gente”: “Sull’altopiano dell’Amba Aradam / ci siamo solo sporcati le mani / abbiamo fatto solo un po’ di ambaradan / noi brava gente, noi tanto italiani.” Proseguendo con le strofe, Lega continua raccontando dell’eccidio di donne, vecchi e bambini che si erano rifugiati in una grotta dell’Amba Aradam “Sotto le grotte dell’Amba Aradam / c’erano donne coi vecchi e bambini / sopra le grotte dell’Amba Aradam / arrivano i nostri soldatini.” Eccidio compiuto tramite l’utilizzo di armi chimiche proibite “Col gas d’arsina e le bombe all’iprite / fanno saltare con i lanciafiamme / bravi cristiani che fanno le ferite / nel sacro cuore di tutte le mamme.”
Lega riporta inoltre della fucilazione di monaci copti che avevano ospitato dei ribelli anticoloniali, la canzone si conclude poi con una strofa che ci mostra come l’Italia non abbia mai fatto davvero i conti col proprio passato coloniale.
Per Lega anche più recenti fatti di cronaca non sono altro che la continuazione di una ottuagenaria tradizione italica “L’Amba Aradam è la macchia dell’oblio, / è il monumento a Rodolfo Graziani, / i gagliardetti di Nassiriya, / sono i due marò che fucilano gli indiani.”
2 Murubutu – Le stesse pietre
Dopo l’ invasione dell’Etiopia, ora tratteremo della guerra contro la Grecia incominciata nel 1940 con lo slogan «…spezzeremo le reni alla Grecia!». A raccontarcela sarà lo stile unico di Murubutu, un professore di Reggio Emilia che da diversi anni ha intrapreso una carriera musicale con questo nome d’arte. Dopo l’esperienza nella “Kattiveria Posse” Murubutu ha incominciato raccontando storie ispirate a fatti e personaggi storici, o comunque verosimili, con un flow rapidissimo che mette a dura prova gli ascoltatori. Dietro quello che può apparire un flusso indistinto di parole in rima si celano riferimenti storici e letterari che fanno di lui uno dei massimi storyteller del rap italiano. Il brano che oggi viene preso in esame è “Le stesse pietre”, pubblicato nell’album “La bellissima Giulietta e il suo povero padre grafomane” del 2013. La canzone presenta la solita rapidità nello srotolarsi delle strofe e un beat mai scontato ed è ispirata al romanzo del medico e alpino Giulio Bedeschi “Centomila gavette di ghiaccio”. Il romanzo pubblicato nel 1963 racconta anche l’esperienza militare dell’autore nella campagna di Grecia, a cui Bedeschi prese parte come membro degli Alpini. Murubutu racconta lo sbarco e il protrarsi di una campagna militare estenuante, in cui si ritrovarono a combattere dei giovani come Aldo, il protagonista della canzone “Aldo partì al mattino e sul viso nessun sorriso,/ nessuno avviso, nessun rinvio e all’improvviso l’addio al suo nido,/ il fronte voleva forze e rinforzi pronti dove il conflitto è vivo, / la fronte sugli occhi smorti di chi è in arrivo verso il confino.”
Nel 1940 infatti l’Italia fascista inviò uomini sull’altra sponda dell’Adriatico per invadere la Grecia “Poi fuori a flussi, a flutti, ogni vagone aprì la pancia e via,/soldati a truppe, a ciurme vomitate in terra d’Albania”.
Il lessico da professore di Murubutu esprime poi alla perfezione le condizioni pietose a cui i soldati erano sottoposti “Prima un bagliore, un suono poi voli via per sempre,/le bocche di fuoco per un uomo morto sono scie eterne,/vide la morte fra le tende in cerca fra le carni aperte /fra pezzi d’ossa, pelle e bende intrise, divise in grigio e verde.”
Ma le “reni” della Grecia non si spezzarono facilmente, infatti sia esercito che truppe irregolari si opposero agli italiani “Dopo mesi e mesi tra i cieli gelidi sotto i fuochi accesi, /sotto i tiri tesi dai fucili fieri di Albanesi e Greci, / Aldo e altri rimasti offesi ora sono fantasmi ciechi, /corpi bianchi e scarni, occhi affranti e stanchi, esausti fra le nevi”; questa resistenza fu tale che per riuscire ad avere la meglio dovettero subentrare nel conflitto gli alleati tedeschi, che ribaltarono le sorti della guerra.
In quella che divenne una guerra di posizione sul fronte del Golico le privazioni, le atrocità e gli orrori raccontati da Bedeschi ora sono rivissuti da Aldo, che è sempre combattuto tra il desiderio di non tradire e quello di fuggire “le stesse pietre lo stesso sangue, / quegli stessi piedi, quelle stesse gambe / sulle stesse pietre con lo stesso sangue…”
3 La Badoglieide – Le Primule Rosse
La Badoglieide è un brano che venne scritto nel 1944 a più mani, da diversi partigiani, tra cui anche Nuto Revelli. La canzone dà voce all’insofferenza e alla rabbia generate dalla fuga del maresciallo Pietro Badoglio, il quale, dopo aver ligemente servito il regime fascista, l’8 settembre ‘43 si rifugiò in Meridione assieme al Re, sotto la protezione degli Alleati, lasciando le truppe e tutti gli italiani allo sbando, sotto la dominazione nazista. Nel testo si accenna a molte delle guerre che vennero combattute durante il regime.
Durante il ventennio la popolazione era sollecitata ad una mobilitazione continua, evocare continuamente nemici all’estero rafforzava il fronte interno. Gli italiani erano mandati a combattere guerre volute da gerarchi come Badoglio, che vennero vinte solo grazie all’uso di armi proibite “Ti ricordi l’impresa d’Etiopia /e il ducato di Addis Abeba? /meritavi di prendere l’ameba /ed invece facevi i milion.”; o grazie all’ausilio delle truppe tedesche, meglio equipaggiate e addestrate “Ti ricordi la guerra di Grecia /e i soldati mandati al macello, /e tu allora per farti più bello/ rassegnavi le tue dimission?”
Ma Badoglio oltre ad essere storicamente famoso come criminale di guerra, lo è anche per essere diventato primo ministro dopo la caduta del regime il 25 luglio del 1943; “L’occasione infine è arrivata,/ è arrivata alla fine di luglio / ed allor, per domare il subbuglio,/ti mettevi a fare il dittator.” Egli “tradì” dunque la sua precedente fazione e accolse a braccia aperte il nuovo incarico politico, al fianco di Vittorio Emanuele III nella parte di Italia liberata dagli Alleati: “Ti ricordi quand’eri fascista/e facevi il saluto romano/ed al Duce stringevi la mano?/sei davvero un gran bel porcaccion.”. Nuto Revelli, essendo un partigiano delle brigate di Giustizia e Libertà, delle formazioni che si opposero duramente al fascismo ma anche a chi con esso aveva collaborato, in primo luogo monarchia e Chiesa, fa della Badogliede un inno antisabaudo oltre che contro chi, come Badoglio, riuscì a riciclarsi in una Italia che formalmente non era più fascista. “O Badoglio, o Pietro Badoglio / ingrassato dal Fascio Littorio,/col tuo degno compare Vittorio / ci hai già rotto abbastanza i coglion.”.
Per Revelli e i suoi compagni di brigata è inammissibile che mentre loro “crepano sui monti d’ Italia” al governo sia tornato alto graduato del precedente regime; la canzone si conclude infatti con questa strofa “Se Benito ci ha rotto le tasche / tu, Badoglio, ci hai rotto i coglioni; / pei fascisti e pei vecchi cialtroni / in Italia più posto non c’è.”
La versione qui proposta è quella de “Le primule rosse”: una band torinese composta da diverse ragazze, che reinterpreta brani classici della lotta di Liberazione italiana per resistere suonando e cantando.